Sfide. Patologie sottovalutate, ricerca sbilanciata, farmaci pensati per gli uomini: la salute femminile paga un prezzo altissimo. Superare le disparità significa salvare vite e generare risparmi per il Ssn
Quando si parla di salute, il genere fa la differenza. Non solo per questioni biologiche, ma anche per fattori culturali, sociali ed economici. Eppure, per troppo tempo la medicina si è concentrata su un modello unico, costruito su misura dell’uomo. Oggi, la medicina di genere non è più un tema di nicchia: è una priorità. Differenze nei sintomi, nelle diagnosi, nella risposta ai farmaci e nell’adesione ai programmi di prevenzione richiedono strategie nuove, capaci di garantire a tutti cure più eque ed efficaci. Una sfida che riguarda anche la sostenibilità economica dei sistemi sanitari.
Oggi, quindi, anche grazie a un crescente impegno scientifico e istituzionale, la medicina di genere non può più essere un tema di nicchia, ma una priorità, con l’obiettivo di garantire a tutti i pazienti cure più efficaci, personalizzate ed eque, ma anche promuovere una prevenzione di genere, con programmi mirati che tengano conto delle differenze nei fattori di rischio, negli stili di vita e nell’adesione agli screening.
La prevenzione non basta
In Italia, i dati raccontano una realtà interessante: per ogni uomo che si sottopone a controlli regolari, ci sono 30 donne che lo fanno. Eppure, nonostante la maggiore attenzione, ci sono ancora aree di miglioramento. Secondo una recente survey Teha, il 31% delle donne tra i 30 e i 40 anni non ha mai fatto un’ecografia al seno, mentre tra i 50 e i 70 anni, il 30% non ha mai eseguito il test per il sangue occulto. Le barriere non sono solo economiche. Entrano in gioco fattori culturali, religiosi e psicologici, che possono frenare l’accesso agli screening, soprattutto nelle fasce più vulnerabili della popolazione.
Il costo della cattiva salute
La cattiva salute delle donne pesa anche sul bilancio collettivo. Il 49% dei costi totali è legato a sole dieci patologie, tra cui spiccano: disturbi muscoloscheletrici (19,9 miliardi di euro), depressione e ansia (14,2 miliardi), sindromi da cefalea (7,4 miliardi), malattie ginecologiche (5,7 miliardi), tumore al seno (4,9 miliardi). Seguono i disturbi degli organi di senso (4,1 miliardi), il diabete (3,6 miliardi), l’ictus e l’ischemia (3,3 miliardi), il tumore al polmone (2,9 miliardi) e il tumore al colon-retto (1,8 miliardi).
Intervenire in modo mirato significherebbe non solo migliorare la salute individuale, ma anche alleggerire significativamente il peso socio-economico. Secondo Teha, un mix di prevenzione efficace, diagnosi tempestive e trattamenti adeguati potrebbe liberare fino a 44 miliardi di euro all’anno, pari al 2% del Pil.
Il gap di genere nella ricerca
Non solo nella clinica, ma anche nella ricerca il gap di genere è evidente. Analizzando gli investimenti europei sulle dieci patologie che più colpiscono la popolazione femminile, emerge uno squilibrio preoccupante: mentre per malattie neurologiche come Alzheimer e diabete si investe quasi il doppio rispetto alla media (indice di 1,7: euro investiti per Daly (Disability Adjusted Life Year), per molte altre patologie femminili il rapporto è ben inferiore. Sottovalutate, ad esempio, le sindromi da cefalea, la depressione, l’ansia, le malattie e i tumori ginecologici. Un segnale che servono strategie di investimento più eque e attente all’impatto reale sulla qualità e l’aspettativa di vita.
I consumi di farmaci
Oltretutto, le donne sono le principali consumatrici di farmaci (soprattutto su prescrizione medica), con consumi tra il 20% e il 30% più elevati rispetto agli uomini, accompagnati anche dal maggior utilizzo di integratori alimentari e rimedi botanici (circa il 40% in più). Restringendo il campo all’Italia, secondo i dati riportati da Aifa all’interno del Rapporto OsMed, nel corso del 2023 il 72% delle donne ha ricevuto almeno una prescrizione medica, rispetto al 63% degli uomini. Queste discrepanze risultano più evidenti nella fascia di età compresa tra i 15 e i 69 anni, dove le donne mostrano una maggiore esposizione all’uso di farmaci rispetto agli uomini.
Più esposte, meno tutelate
Ma sono anche le più vulnerabili agli effetti avversi. Questo accade perché per decenni la ricerca farmacologica si è basata prevalentemente su modelli maschili, trascurando le differenze biologiche che influenzano il metabolismo dei farmaci, la loro efficacia e i loro effetti collaterali. Un dato che pesa enormemente sulla qualità di vita femminile e rende urgente l’adozione di approcci di ricerca e sviluppo che tengano conto del sesso e del genere fin dalle fasi iniziali della sperimentazione clinica.
Uomini e donne, infatti, manifestano differenze non trascurabili in termini di risposta alle terapie. Uno studio realizzato nel 2023 su oltre 400 sostanze farmacologiche ha riscontrato differenze di sesso e/o genere clinicamente rilevanti nel 20% dei casi, mentre nel 28% dei casi ha messo in luce la mancanza di dati sufficienti per determinare eventuali differenze, a dimostrazione di un importante gap informativo. Una medicina di precisione, quindi, non può prescindere dalla medicina di genere. Non si tratta solo di giustizia, ma anche di sicurezza.
Infarto e ictus: segnali diversi
In particolare, sul fronte delle patologie cardiovascolari, la prospettiva di genere è cruciale. Le donne spesso presentano sintomi atipici, che rischiano di essere sottovalutati o erroneamente attribuiti a stress o ansia. Inoltre, condizioni come il diabete gestazionale o l’ipertensione in gravidanza devono essere considerate segnali predittivi di rischio cardiovascolare futuro, richiedendo un monitoraggio tempestivo già durante l’età fertile. La gestione post-acuta di eventi come ictus o arresto cardiaco necessita, poi, di un supporto strutturato. Se da un lato la mortalità per ictus è diminuita del 30% negli ultimi 20 anni, le donne sopravvissute presentano, a tre mesi dall’evento, condizioni peggiori rispetto agli uomini, anche a causa della necessità di conciliare il recupero con responsabilità familiari.
La formazione è la chiave
Tuttavia, per trasformare davvero la teoria in pratica, è essenziale che la formazione dei professionisti sanitari includa una solida preparazione sulla medicina di genere. Nonostante la Legge 3/2018 abbia introdotto l’obbligo di promuovere la medicina di genere nel Ssn, solo nel 2023 è stato adottato il primo Piano Formativo Nazionale dedicato, a cura dei ministeri della Salute e dell’Università e della Ricerca. Dal 2017 al 2022, sono stati organizzati 184 eventi Ecm specifici sulla medicina di genere, un segnale positivo ma ancora insufficiente. L’obiettivo resta quello di formare professionisti capaci di riconoscere le differenze di sesso e genere nei percorsi clinici e assistenziali, migliorando l’equità delle cure e la qualità della vita dei pazienti.
Solo attraverso un cambiamento culturale profondo, basato su conoscenza, sensibilità e strumenti operativi concreti, sarà possibile garantire un sistema sanitario davvero inclusivo e personalizzato, capace di riconoscere il valore e la complessità di ogni persona.